Resto a casa e… Viaggio nel tempo! 13
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La Lambretta è uno scooter italiano prodotto dalla industria meccanica Innocenti di Milano, nel quartiere Lambrate, dal 1947 al 1972. Il nome “Lambretta” deriva dal fiume Lambro, che scorre nella zona in cui sorgevano proprio gli stabilimenti di produzione. L’enorme successo non solo nazionale fece sì che la Lambretta, nei quasi 25 anni di produzione, venisse costruita su licenza anche in Germania (dalla NSU), Gran Bretagna, Argentina, Brasile, Cile, India e Spagna. La Innocenti produsse, sulla base della meccanica dello scooter, anche una serie di motocarri che, inizialmente denominati anch’essi Lambretta, ebbero poi il nome di Lambro.Diversamente dalla Vespa, che è stata costruita con un telaio costituito da un solo pezzo, la Lambretta aveva una struttura tubolare più rigida su cui veniva assemblata la carrozzeria. I primi modelli prodotti presentavano la caratteristica della “carrozzeria scoperta”, distinguendosi quindi totalmente dalla Vespa (totalmente carenata), diventando il tipico segno di riconoscimento dello scooter milanese. Comunque i successivi modelli prodotti, esattamente dal modello C del 1950, furono presentati anche in versione carenata; proprio questo modello, criticato dalla rivale Piaggio per la somiglianza concettuale con la Vespa, ebbe un gran successo tanto che dal 1957 in poi, escludendo il modello LUI, la Lambretta fu sempre prodotta con carrozzeria “chiusa”. Altra sostanziale differenza rispetto alla Vespa sta nella collocazione del motore. Nella Lambretta era disposto in posizione centrale, diversamente dalla concorrente che presentava il motore disassato sul lato destro del motociclo.
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Con l’avvicinarsi della seconda guerra mondiale, la produzione dell’Alfa Romeo fu orientata verso l’assemblaggio di motori aeronautici e autocarri, che sarebbero stati più utili all’Italia in caso di conflitto armato. La produzione aeronautica negli anni precedenti alla guerra arrivò a generare quasi l’80% del fatturato dell’Alfa Romeo. Durante il conflitto, gli stabilimenti dell’Alfa Romeo furono bombardati più volte fino a causarne la chiusura: nel 1943 Pomigliano d’Arco (aperto nel 1938) e nel 1944 il Portello.
Nel 1945 l’Alfa Romeo ritornò alla tradizionale attività di produzione di automobili con l’assemblaggio della prebellica 6C 2500.
La nuova 1900 debuttò nel 1950 e fu decisiva per risollevare le sorti dell’azienda.I costi di produzione vennero ridotti grazie all’introduzione anche al Portello, nel 1952, della catena di montaggio. Con la 1900, l’Alfa Romeo passò da casa automobilistica che assemblava modelli di lusso, a livello quasi artigianale, a marchio che produceva industrialmente, con l’abbattimento dei costi di produzione. Dallo stabilimento del Portello uscirono migliaia di veicoli l’anno mentre in precedenza la produzione si attestava al massimo a mille vetture annue.La crescita fu costante: dalle 6.104 vetture assemblate nel 1955, la capacità produttiva dello stabilimento raggiunse, nel 1960, le 57.870 unità.
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La Motom nacque a Milano nel 1945 ad opera della famiglia De Angeli-Frua, intenzionata a differenziare gli investimenti dal campo tessile per cogliere l’opportunità di produrre veicoli economici, dei quali era facile prevedere una grande richiesta nel secondo dopoguerra.
La proposta che fece nascere la Motom fu quella presentata da Battista Falchetto, celebre ingegnere del campo automobilistico, già braccio destro di Vincenzo Lancia. Grazie alla sua esperienza, Falchetto progettò un robustissimo telaio a X in lamiera stampata, di semplice costruzione, accoppiato a un motore monocilindrico a 4 tempi, particolarmente parco nei consumi.
Al Salone di Milano del 1955 la Motom presentò il 98 T, un motociclo con motore da 98 cm³ con carrozzeria dalla linea avveniristica
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Negli anni ’50, abbandonati ormai i nomi delle città laziali (Aprilia, Ardea), la Lancia prosegue la via intrapresa con la Aurelia e designa il nuovo modello con il nome di un’altra notissima strada consolare romana cioè “Appia”.
La via Appia (Appia Antica) era una strada romana che collegava Roma a Brindisi, il più importante porto per la Grecia e l’Oriente nel mondo dell’antica Roma. Voluta dal console Appio Claudio Cieco la sua costruzione ebbe inizio nel 312 a.C.
La attuale via Appia (Strada statale 7) venne costruita nel 1784 parallelamente all’antica via consolare.Dopo aver lanciato il modello Aurelia in sostituzione dell’Aprilia, l’ufficio progettazione dell’azienda torinese mette allo studio il modello destinato a rimpiazzare l’Ardea, che ormai comincia a sentire il peso degli anni. Già nel progetto iniziale, la nuova vettura ha una linea molto somigliante a quella della sorella maggiore Aurelia.La nuova vettura – battezzata Appia – viene presentata al Salone di Torino dell’aprile ’53. Sua più diretta concorrente è la nuova Fiat 1100 modello 103, immessa sul mercato qualche settimana prima: la differenza di prezzo tra le due è però notevole, visto che la Fiat viene proposta a 975.000 lire (addirittura 945.000 nella versione “economica”) mentre la nuova piccola Lancia costa 1.331.500 lire. Giustificano solo in parte tale differenza le soluzioni tecniche molto evolute (cilindri a V stretto, due alberi a camme nel basamento, valvole in testa inclinate con sedi riportate, camere di scoppio emisferiche, testa in alluminio) e una maggiore accuratezza di costruzione della carrozzeria.
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Appena finita la guerra la sede viene spostata in via Berti. Alfonso Morini ricomincia subito a lavorare alle moto che ha sempre amato, riprende l’attività nel 1946 a Bologna in via Berti, e presenta la T125, monocilindrica di 125 cm³ 2 tempi (ispirata alla tedesca DKW RT 125. È un successo immediato. Nel 1947 nasce la T125 Sport. Da ex pilota e valido progettista qual era, essendo le competizioni l’unico mezzo allora esistente di pubblicizzare un marchio, Alfonso Morini non perde tempo e comincia a gareggiare. Già l’anno successivo, il 1948, Raffaele Alberti si laurea campione italiano Motoleggere pilotando una Moto Morini 125 Competizione. L’anno successivo il successo viene ripetuto con Umberto Masetti. Questa moto, monocilindrica a 4 tempi già allora capace di girare a 10.000 giri/min, nel 1952 regala i primi successi del Campionato Mondiale nel Gran Premio delle Nazioni e nel Gran Premio di Spagna, grazie a Emilio Mendogni.
Questi validi motori a 4 tempi arrivano anche sulle moto di serie, la cui prima espressione è la 175.Dalla “175” deriva la “Settebello Aste Corte”, alla cui guida il debuttante Giacomo Agostini, destinato a divenire un campione di motociclismo, conquista il campionato cadetti nel 1962 e, nell’anno successivo, i campionati italiani di velocità Juniores e della Montagna.
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Pensando a questo enorme bacino di potenziale clientela, Vittorio Valletta aveva incaricato Dante Giacosa di realizzare, contemporaneamente alla “600”, un’automobile superutilitaria, i cui costi di acquisto, uso e manutenzione, potessero essere compatibili con il modesto bilancio delle famiglie operaie.
Il 1º luglio 1957, la “Nuova 500” venne mostrata in anteprima al Presidente del Consiglio Adone Zoli, nei giardini del Viminale. Il 2 luglio la vettura fu presentata presso il circolo Sporting di Torino, tradizionale cornice in cui la FIAT ufficializzava all’epoca le sue novità; alla serata di gala fece gli onori di casa il gotha aziendale, composto dal presidente Vittorio Valletta, dai vicepresidenti Gianni Agnelli e Gaudenzio Bono, dal responsabile dell’ufficio stampa Luigi Pestelli, oltre a vari dirigenti e tecnici. Ad attendere le autorità, i giornalisti e le varie personalità, un cinquantina di esemplari del nuovo modello, tutte di colore grigio e accompagnate da meccanici in tuta bianca, schierate a bordo piscina e pronte per un giro di prova. Tra i molti che vollero cimentarsi alla guida della “Nuova 500”, anche il campione di Formula 1 Nino Farina.[3]
Il nome di Nuova 500 fu scelto per sottolineare la discendenza e la comunanza alla 500 “Topolino”, quale automobile di minor costo della gamma FIAT, fissato a 490.000 lire, pari a circa 13 stipendi di un operaio.
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La sfida delle micro car italiane:
La ACMA “Vespa 400” è una microvettura progettata dalla Piaggio e costruita a Fourchambault, in Francia, da un’azienda consociata, la ACMA, dal 1957 al 1961. Sono state vendute tre diverse versioni, “Luxe”, “Tourisme” e “GT”. La prima vetturetta costruita dalla Piaggio fu terminata nell’estate del 1952 e testata nella pista dello stabilimento il 25 settembre. Questa macchina rappresentava il primo di quattro progetti che si sarebbero sviluppati tra il 1952 e il 1954.Nel frattempo Piaggio incontrò Vittorio Valletta, presidente della FIAT (industria che proprio in quel periodo stava sviluppando la Nuova 500), che fece osservare come fosse commercialmente più conveniente non intralciarsi nel mercato a vicenda, quantomeno in territorio nazionale.la ACMA rappresentava l’escamotage della Piaggio per aggirare gli elevati costi doganali di allora. Enrico Piaggio decise di costruire la microvettura in Francia e di non importarla in Italia, al fine di evitare rapporti conflittuali con la FIAT.
FINE PRIMA PARTE
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Nel secondo dopoguerra la FIAT era governata da Vittorio Valletta, cui era affidato il compito di motorizzare la nuova Italia repubblicana, come già era stato tentato e parzialmente realizzato attraverso il modello “Topolino”. Se negli anni trenta il progetto “Topolino” era stato scarsamente innovativo, negli anni cinquanta era sicuramente superato.
Valletta incaricò Dante Giacosa di realizzare la nuova vettura; un compito arduo dato che l’azienda aveva potenzialità veramente modeste.
La piccola utilitaria Fiat venne presentata il 9 marzo 1955 a Ginevra, nel Palazzo delle Esposizioni.La “600”, nata come vettura popolare, ma non del tutto superutilitaria, avrà uno strabiliante successo di vendite e, dopo pochi mesi, il tempo di attesa per la consegna supererà l’anno. Ingredienti strategici del successo furono il prezzo competitivo, ma non stracciato, una buona dotazione e qualità per il prezzo, una buona abitabilità e il buon comportamento stradale che abbinato al buon cambio dava anche soddisfazioni di guida nonostante il piccolo motore. L’arma vincente fu anche il basso costo di gestione: 14 km con un litro e, con una potenza fiscale di 9CV, una tassa di circolazione di sole 10.000 lire.
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